La Basilicata, per la sua posizione da secoli ai margini delle grandi strade di comunicazione, "si presenta rispetto alla tradizione popolare come un'area prevalentemente conservativa", come scrive Giovanni Bronzini che, con Ernesto De Martino, ha maggiormente studiato questo aspetto della regione. Nelle campagne, soprattutto del materano, pur in una situazione economica del tutto cambiata anche per merito della Riforma fondiaria, sopravvivono usi e tradizioni la cui origine si perde nella notte dei tempi. Come ad esempio il Morgengab o 'dono del mattino' (si noti la parola germanica) introdotta dai Longobardi: consiste nel dono di parte dei propri beni che il marito fa alla moglie all'alba della prima notte di nozze, come ringraziamento per l'amore donatogli. Se si pensa che, come abbiamo detto, la Basilicata è scarsamente popolata, s'immagina bene che, in sperdute case rurali, l'uso persiste. Vi è poi il rito dei Maggi che, un po' modificato, lo si trova anche come rito nuziale. Infatti, in Basilicata alla fine del '700 e sino a meta' dell'800 circa, spesso le nozze venivano celebrate all'ombra dell'albero della libertà', al centro della piazza principale, compiendo tre giri intorno ad esso e pronunciando formule più' o meno magiche. La più' antica 'Festa dei Maggi' si svolge ad Accettura (Matera): avviene in due tempi , all'Ascensione e alla Pentecoste, quando si sceglie prima l'albero più alto e diritto del bosco di Montepiano 'il Maggio' e poi la 'cima', l'agrifoglio da issare sul cerro. Il taglio del cerro comporta una enorme fatica e, quando il tronco sta per cadere, vi è il rito del pianto simulato per celebrare l'agonia della pianta. Poi avviene la processione dei buoi, dieci coppie, dal bosco in paese con un andare ieratico e lento. In piazza si cercherà, con una spettacolare gara di abilita', di abbattere le targhette legate alla 'cima' e si avrà' ogni volta un premio. La festa è dedicata a S.Giuliano, protettore del paese, e la processione vede le donne impegnate a portare sul capo dei grandi 'Cinti', ceri decorati e addobbati con nastri e fiori. Si vuole credere che la scalata finale dei due alberi sia rappresentativa dell'intervento dell'uomo che domina la natura. Successivi ad Accettura, i Maggi di Castelsaraceno (Potenza), per la festa di S. Antonio, si chiama festa dell'andenna (l'albero) e si svolge il 19 Giugno, con inizio il 12, con la scelta dell'albero. Anche a Rotonda (Potenza) viene celebrata a S. Antonio la festa del pitù, l'albero trovato nei boschi del Pollino da gruppi di gente guidata dal caporale il giorno 9 Giugno. Il 13 giunge in paese il tronco più grande mentre prima erano arrivati circa 50 abeti medi. Il 'pitù' viene poi sollevato con sopra il caporale, mentre dopo si venderanno i tronchi all'asta per finanziare la festa. Vi sono poi le usanze, come quella del 'ceppo': un uomo a seconda del carattere della donna amata le mette un ceppo davanti alla porta di casa; se lei accetta si possono fidanzare, altrimenti il ceppo verrà fatto rotolare per la strada. Ciò soprattutto nelle campagne di Val d'Agri. Scomparso l'uso di mettere un aratro in miniatura sotto il cuscino del moribondo se l'agonia si prolungava, sussiste invece quella del 'lamento funebre' di vicine di casa dette prèfiche, a volte soltanto come presenza e dialogo continuo con i parenti durante la notte intera per evitare che essi si addormentino e il defunto ne soffra. L'uso è diffuso sia in provincia di Matera che in provincia di Potenza. L'antichità del lamento funebre è attestata, oltre che dalla parte musicale, anche dal testo che, con l'assenza assoluta di invocare alla Vergine e ai santi, denuncia chiaramente un'origine precristiana. Questo lamento viene fatto dalle donne della famiglia o da qualche vicina particolarmente versata nel 'pianto' in occasione di una morte; le donne si stringono attorno alla salma e si 'lamentano' e in queste lamentazioni rievocano le qualità del morto ricordando anche vari episodi della vita terrena. Appena avviene il decesso infatti le donne si abbandonano a scene di isteria, urlando, graffiandosi il volto, strappandosi i capelli; in un secondo momento il dolore si organizza, i gesti si coordinano e la disperazione viene espressa mediante moduli verbali, melodici e ritmici. Da questo secondo momento 'generico' si passa alla caratterizzazione del defunto. Dice un 'lamento' registrato a Pisticci: "Gioacchino mio, bene della tua donna, oh! Che mani pregiate che avevi. Quanta fatica hai fatto con queste mani, bene della tua donna. E ora ti debbo dire che cosa ti ho messo nella cassa, bene della tua donna: due camicie, una nuova e una rattoppata, bene della tua donna; la 'tovaglia' per pulirti la faccia nell'altro mondo, bene della tua donna; e due paia di mutande una nuova e una con la toppa sul sedere; e poi ti ho messo la pipa, bene della tua donna. E ora per chi debbo mandarti il sigaro all'altro mondo bene della tua donna?". L'aldilà nel quale si muove il defunto, come appare da questo lamento di Pisticci, come del resto dagli altri, non presenta nessuna caratteristica dell'aldilà cattolico; è vicino invece al mondo precristiano; infatti il lamento funebre lucano può essere considerato la sopravvivenza di un modo di 'lamentarsi' diffuso nel mondo antico. Alla musica arcaica delle ninne - nanne si accompagna invece un testo che in misura maggiore o minore risente del cattolicesimo. Ecco una ninna - nanna raccolta a Forenza:Ninna nanne, ninna cantenne, mamma di Criste, annuncele la menne, mamma di Criste, annuncele ru latte, te vole benedì chi t'ave fatte; t'ave fatte e ti vole mantenere, figlie, statte a lu munne pi uarere; uarisce figlie lu munne pe' cint'anne, Uarisce, cose belle di la mamm. Per quel che riguarda gli strumenti con i quali viene eseguita la musica, i più diffusi sono il 'cupa - cupa', la zampogna, il flauto dritto, lo scacciapensieri. Per Carnevale, molte le tradizioni: tra le più dolci, perché legate ad un coinvolgimento di ogni età, la Sagra della Polenta a Nemoli (Potenza), ove si prepara in un enorme caldaia di rame, lavorata a mano nella vicina Rivello, la si distibuisce a tutti e soprattutto la si va a portare agli anziani infermi o alle famiglie più antiche del luogo. Per S. Giuseppe a Ripacandida e a Castelsaraceno (Potenza), i falò. A Castelluccio Inferiore (Potenza), la vigilia di S. Giuseppe si accendono i "focarazzi", falò di fascine di ginestra che i ragazzi vanno 'rubando'. Ma si finge di 'rubare', naturalmente. Vi è l'intento ludico e poi quello aggregante, il bivacco all'aperto dei 'feraiuoli' per la fiera del Santo. All'Annunciazione, il 25 Marzo, i bambini di Pescopagano (Potenza) passano attraverso rovi tagliati e disposti a forma di cerchio. Molte le feste della Settimana Santa: la più spettacolare è, comunque, la Processione dei Misteri a Barile (Potenza) nel primo pomeriggio del Venerdì Santo. Il corteo si snoda per circa cinque chilometri, aperto da tre centurioni a cavallo e da tre bambine vestite di bianco (le tre Marie); seguono poi una ragazza vestita di nero con lo stendardo recante i segni della Passione di Cristo e trentatré bambine vestite sempre di nero, simbolo degli anni di Cristo. Poi centinaia di altri personaggi. Il Cristo è un giovane digiuno da molti giorni per raggiungere lo stato di grazia. Il personaggio più insolito è "la Zingara", la più bella ragazza del paese, abito scintillante e ricoperta dei gioielli della gente più facoltosa di Barile. E' un chiaro richiamo alle origini albanesi del paese. A Baragiano, in provincia di Potenza, il lunedì dopo Pasqua, si battezza un bambino: la mamma lo porge ad una coppia (uomo e donna) che lo fa passare per tre volte in un cerchio di cespugli di more. A Potenza il 29 maggio si celebra la sfilata dei Turchi, che avveniva fino al 1885 il 12 maggio ma dal 1886 la data venne spostata al 29 maggio per le migliori condizioni climatiche. La sfilata precede di un giorno i festeggiamenti in onore di S. Gerardo patrono della città che, di famiglia piacentina fu Vescovo di Potenza dal 1111 al 1119. Le origini della festa si fanno risalire all'VIII sec. quando, in una notte di Maggio, fitte truppe di predoni saraceni, ormeggiata la galea alla foce del Basento, risalirono con zattere il corso del fiume sino a Potenza, capitanati dal gran saraceno dalla barba bianca. Colti di sorpresa i cittadini sarebbero stati vinti se non fosse apparsa in cielo una luce con una schiera di angeli che portato il panico fra i saraceni diedero ai potentini il tempo di riorganizzarsi. La folla gridò al miracolo del patrono della città di S. Gerardo. La sfilata si svolge di sera con tutti i personaggi della leggenda; si parte dalla Cattedrale. In prima linea araldi e alfieri poi bambini vestiti da angioletti a piedi e a cavallo; vengono gli schiavi saraceni che trainano la galea nella quale sono sistemati due bambini vestiti da angioletti e uno da S. Gerardo. Saraceni a cavallo precedono la ricca carrozza del Gran Turco. Seguono i nobili e gli arcieri con gli stendardi delle quattro porte della città. Dopo il Conte e la Contessa, chiude la sfilata il tempietto con l'effigie illuminata di S. Gerardo. A Nemoli, nella valle del Noce, tra Lagonegro e Maratea, il giorno del Corpus Domini, si copre il corso principale con un tappeto di fiori di ginestra a forma di ostensori e calici, ricoperti di petali di rosa. A Viggiano in provincia di Potenza (Val d'Agri) la prima domenica di settembre, una processione di 4 ore sale dal paese al Santuario del Monte (1725m) lungo un sentiero che si scorge da valle, una teoria di figurine, in testa le 'cinte' (costruzioni di fiori), ogni tanto una fermata per riposarsi presso gli antichi altari di pietra. Il tutto accompagnato da sommessi canti in dialetto. Vi sono poi i vari presepi, tra cui, bellissimo, quello vivente lungo i Sassi di Matera; a Gorgoglione (Matera) si mette ancora il ceppo nel camino ma da entrambi i coniugi altrimenti uno dei due rischia di morire prima del prossimo Natale. Visto che siamo in provincia di Matera, chiudiamo il capitolo del folcrore con la più completa tradizione del capoluogo: la Festa della Bruna., il 2 luglio, a Matera. Non si conosce il perché del termine'Bruna': forse il legame alla terra fertile propiziatrice di buoni raccolti. Inizia comunque nel 1380 Con il papa Urbano VI, già Vescovo di Matera, con caratteristiche soltanto religiose; con il passare degli anni diventa sempre più profana. Il Carro è l'elemento focalizzante, colorato e adorno di fregi: su di esso le statue in cartapesta, ogni anno raffiguranti un episodio diverso del Vecchio e del Nuovo Testamento. I fondali rappresentano in genere particolari dei Sassi o facciate di Chiese. La costruzione del Carro dura circa 4 mesi; qui si mostra la capacità artigianale, molto antica, del lavorare la carta pesta ed il legno, nel quartiere di Piccianello. All'alba del 2 luglio a partire dalla Cattedrale ha luogo una processione di pastori. Al tramonto dal rione Piccianello muove il "Carro", trainato da 8 muli bardati e difeso da un'imponente e spettacolare cavalcata di giovani popolani con elmo, corazza e splendide divise appositamente allestite dalle famiglie. Giunto al Duomo il Carro compie tre giri intorno alla piazza, la Madonna "scende" e torna in Chiesa. Il Carro viene consegnato al popolo che lo distrugge e ne conserva una reliquia, mentre un grande spettacolo pirotecnico accende di bagliori le grotte neolitiche e illumina i Sassi che si colorano di mille luci formando un'immagine suggestiva unica al mondo. ![]() |