NICCOLO’ SIGGILLINO

ARIOSO DAVANTI ALLA SERRA DI TRICARICO

CANZONETTA D’AMORE

Nacque a Grassano il primo settembre 1901 da Innocenzo e Angela Emilia Garaguso nella casa posta in Via Regina Margherita, ove il padre si era trasferito con tutta la famiglia per esercitare la professione d’avvocato in pretura. Qui conobbe Giuseppe Bronzini e Michele Armento, con i quali ebbe, da giovane, buoni rapporti d’amicizia. In qualità di convittore, frequentò il Regio Liceo – ginnasio di Potenza, presso cui conseguì la maturità classica con ottima votazione. Contrariamente alle sue naturali inclinazioni, fu avviato dal padre, un gran conoscitore del diritto romano, agli studi giuridici, iscrivendosi presso l’Università di Napoli dove si distinse per capacità intellettive e per impegno negli studi. Non tralasciò, nello stesso tempo, di arricchire la sua mente e allargare il suo orizzonte culturale con la lettura di tasti classici, verso cui era particolarmente incline. Conseguita la laurea in giurisprudenza, intraprese, per volere del padre, la carriera militare, ricoprendo il grado d’Ufficiale dell’Aviazione. Non svolse, però, quasi mai tale mansione, in quanto la sua apprezzata preparazione letteraria gli consentì di essere nominato Direttore della Biblioteca presso il Ministero dell’Aeronautica.

A Roma rafforzò i rapporti con l’Armamento che si era trasferito nella Capitale per frequentare la scuola dell’architetto Brasini, e strinse amicizia con Remo Monteleoni, con Giuseppe Montesano, con Fegis e Alessandrini. Negli anni ’20 e ’30 i suoi versi e i suoi saggi critici apparvero sulle più conosciute riviste culturali italiane, delle quali ricordiamo La Rassegna Nazionale, la Rivista di Cultura, Il Giornale di critica, Le fonti, Il Compendio, Il lavoro d’Italia, Le parti e le smorfie, la Bibliografica, Le lettere, Fantasma, La Basilicata nel Mondo. Nel 1926 partecipò al Concorso Mondadori di Pavia con la raccolta di poesie Il Dio perduto, riscuotendo gli elogi da parte della Commissione esaminatrice. Sergio De Pilato scrisse di lui nel Giornale di Basilicata e Luciano Folgore si occupò della sua poesia nella Rassegna Nazionale di Firenze, che gli pubblicò Ombra. Nel 1927 videro la luce due sue importanti opere: il romanzo Il personaggio fatto di nulla, edito da Carabba e la Donna stupida (storie d’amori), stampata dall’A.P.E. di Roma. Anche la Voce di Firenze s’interessò dei suoi scritti con la pubblicazione di non poche novelle. Successivamente si fece conoscere da un pubblico più vasto con il romanzo L’uomo che mendicava l’amore e il lavoro teatrale Il paradiso degli asceti, che fu dato dallo Stabile di Roma. La rivista La difesa di Poesia di Milano gli pubblicò Il morto, e La Lucerna d’Ancona, uno studio su Mario Venditti. Nella nuova antologia dei Poeti d’oggi, edita da Olindo Giacobbe, in vari volumi del Carabba, trovarono posto alcune sue poesie presentate da Adriano Tilgher. Altre liriche furono incluse in poeti del novecento, antologia pubblicata dalla Mondadori di Milano. Nel 1930 vinse il concorso novellistico della tribuna. Il Siggillino si fece conoscere non solo come poeta e prosatore, ma anche come giornalista e critico letterario polemico e vivace. Intenso lo scambio epistorale con eminenti personalità (da croce a Borgese da Flora a Tilgher, da Ada Negri a Sibilla Aleramo).

Di questo periodo sono anche le opere: il Sosia pubblicato nel 1933; La venere esotica, pubblicata nel 1936; L’eredità del romanticismo; Fausto Maria Martini; Nessuno dei due; Spettacoli; Il futurismo italiano.

A Roma frequentò il salotto letterario "Gli amici della domenica", dove la scrittrice Maria Bellonci svolgeva attività d’animatrice. Fu in questa casa, centro di vita culturale fin dal 1944, che nacque nel 1947 il premio Strega. Della sua produzione letteraria fanno altresì parte: Mussolini visto da me, L’italia era piccola, pubblicata nel 1965, l’ombra di Giovanni Pascoli, una rapsodia composta per la morte del presidente americano Kennedy e una lirica per la morte di papa Giovanni XXIII. Durante i mesi estivi, non tralasciava mai di venire a trascorrere serenamente a Grassano un breve periodo di riposo nella casa paterna.

Niccolò Siggillino morì a Roma il 16 Gennaio 1981. Le sue ossa riposano a Grassano, nella tomba di famiglia. Il suo amico Giuseppe Bronzini così definì nel 1927, sulla rivista mensile illustrata "La Basilicata nel mondo", la sua arte:

"Ha le spensierate e le baldanzose esuberanze della giovinezza. Una giovinezza inquieta e ardente, fatta d’impeti e d’abbandoni. Quel che è soprattutto nell’arte del Siggillino e ne costituisce anzi l’impronta personale è la fresca e talora potente immediatezza espressione. Il più delle volte colori e immagini non sono per lui modi approssimativi e analogici di rappresentare il reale, ma dirette trasfigurazioni di questo, la realtà stessa trasportata per incanto nell’atmosfera del lirismo puro. Sembra a volte che tra lui e il mondo non ci siano più ostacoli e veli, che egli sia tutt’uno e vibri all’unisono con la materia germinale della realtà." Scotellaro, invece, scriveva di lui:" Forse egli non scava quanto potrebbe ed invece descrive con chiarità d’immagine e con ardore, a volte d’autentico futurista."

Su

Arioso davanti alla serra di Tricarico

Sirio, rubino lacrimante, in gemma l’antelucano;

il prato splende di rugiada;

fiati di zolle cullano

cimieri di mentastri,

e gale di smeraldo

cangiano al vento

come una vasta seta.

S’impregna d’alba il mausoleo del monte,

e d’aroma di miele ogni cosa mortale;

rabeschi di betulle

s’arrossano in lattigini opaline;

in qua, tra fumidi lentischi,

risucchi di celeste ariosità

avvampano iridate.

Quali Arcangeli fluttuano

Sopra la tera floreale?

Nell’umano pensiero,

la morte già diventa un carme.

Su

Canzonetta d’amore alla terra

Marzo ritorna, o vecchia terra,

ed io ti sento colma di potenze.

Il millenario d’erma

Che avvolge i tuoi misteri

Si spacca al primo sole;

fumosi scheletri di pietra cercano,

tra immani arterie,

connubi con i pollini

al sorriso della luce

si svelano la sincronia degli atomi

le sorgenti e la grazia del tuo grembo.

I tuoi, materni,

nutrono i miei pensieri.



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