FAVOLE

LA VOLPE E LA CALANDRA

I DUE LADRI DI GALLINA

IL LUPO E LA VOLPE

ZIA FORMICA

VUNGOLICCHIO

LA REGINA SENZA FIGLI

IL CECE (U cec’re)

C’era una volta una donna che ventilava i ceci nell’aria. Passò un vecchio e disse: -dammi un cece-. La donna non volle darglielo ed il vecchio disse: -Dio mio, fa’ soffiare un vento così forte da portarle via tutti i ceci-. Spirò un vento fortissimo che fece volar via tutti i ceci ed il vecchio riuscì a raccoglierne solo uno. Col cece in mano il vecchio andò da una donna e disse: "Donna, mi tieni questo cece perché devo sbrigare una commissione?". La donna glielo fece lasciare ma dopo un po’ una gallina si mangiò il cece. Quando ritornò il vecchio e sentì l’accaduto, incominciò a dire: -O mi dai il mio cece o mi dai la tua gallina!- O mi dai il mio cece o mi dai la mia gallina!- La povera donna dovette dargli la gallina. Con la gallina in mano il vecchio andò da un’altra donna e disse: -Donna mi tieni questa gallina perché devo sbrigare un servizio?- La donna rispose di sì e gliela fece lasciare. Ma dopo andò un maiale ed uccise la povera gallina. Ritornato il vecchio e sentito l’accaduto incominciò a dire: -O mi dai la mia gallina o mi dai il tuo maiale! O mi dai la mia gallina o mi dai il tuo maiale-. La povera donna dovette dargli il maiale. Il vecchio lo prese e andò da un’altra donna e le disse: -Donna mi fai lasciare questo maiale nella tua stalla perché devo sbrigare una commissione?- La donna glielo fece lasciare, ma nella stalla c’era un bel cavallo che con un calcio uccise il porco. Quando il vecchio ritornò e sentì l’accaduto incominciò a dire: -O mi dai il mio maiale o mi dai il tuo cavalluccio!- O mi dai il mio maiale o mi dai il tuo cavalluccio!- La povera donna dovette dargli il cavalluccio. Il vecchio con il cavallo andò da un’altra donna e disse: -Donna mi tieni questo cavallo perché devo sbrigare una commissione?- La donna rispose di si ed il vecchio legò il cavallo davanti alla porta e se ne andò. Quella donna aveva due figlie malate ed il medico le aveva detto che per guarire dovevano mangiare bene. Ma la poveretta non possedeva nulla e non sapeva come fare. Passò un giorno, ne passarono due, ma il vecchio non veniva a prendersi il cavallo. La donna allora lo fece uccidere e fece mangiare i figli. Quando il vecchio tornò e sentì che gli avevano ucciso il cavallo incominciò a dire: -O dammi il cavallo o dammi le tue bambine-. La donna fu costretta a dargli le due figlie. Il vecchio le mise in un sacchetto e andò da un’altra donna e le disse: - Brava donna, mi tieni questo sacchetto che ho da sbrigare una commissione?-. –Lascialo qui- rispose la donna. Dopo un po’ le bambine cominciarono a piangere. Appena le sentì, le fece uscire dal sacchetto e le nascose in un cestone, mettendo nel sacchetto vuoto un cucumo con delle crepe ed un cane. Al suo ritorno, il vecchio trovò il sacchetto come lui l’aveva lasciato. Lo prese, se lo mise sulle spalle e andò via. Lungo la strada si sentì tutto bagnato; pensò che le due bambine avessero fatto la pipì. Tra sé e sé disse: -Sul ponte faremo i conti con voi! Sul ponte faremo i conti con voi!- Giunto al ponte, il vecchio buttò a terra il sacchetto dal quale uscì il cane che con un morso gli scippò il naso. Allora il vecchio cominciò a gridare.-Tie’ qua, ciu ciù, pane e cacio e dammi il mio naso! Tie’ qua, ciù ciù, pane e cacio e dammi il mio naso!

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LA VOLPE E LA CALANDRA (‘A volp e ‘a Calandr)

C'era una volta una Volpe che possedeva un appezzamento di terra. Un giorno incontrò la Calandra e le disse: -Comare Calandra, vuoi venire a lavorare la mia terra a mezzadria? Tu vai ad arare, ed io, dopo, a sarchiare-. La Calandra andò ad arare, ma comare Volpe non andò a sarchiare. Appena la Calandra s’avvide che i lavori non erano stati eseguiti, si recò dalla volpe e si risentì. –Comare mia disse la Volpe, ora non ho tempo! Va’ a sarchiare tu, che io dopo andrò a seminare!- La Calandra sarchiò il terreno, ma la Volpe non lo seminò. Trovando sempre delle scuse, non eseguì alcun lavoro, costringendo,così, la Calandra a togliere le erbacce, a mietere e a trebbiare. A lavoro ultimato, si presentò la Volpe per procedere alla spartizione, pretendendo per sé il grano e lasciando la paglia al povero pennuto. A sentire simile proposta, l’uccello disse: -Comare mia, non è il modo di agire, questo! Io ho lavorato, tu che vuoi prendere tutto per te il grano. – Che vuoi, Calandra, chi è più forte, la vince sempre! -. Piangendo e disperandosi, la poveretta se ne andò. Lungo la strada incontrò un cane rognoso al quale raccontò il fatto.- Non ti prendere collera, disse il cane, preparami un bel piatto di maccheroni ed io ti aiuterò-. Dopo che il cane ebbe mangiato, l’uccello prese un recipiente per misure agrarie del posto e si recò assieme al cane dalla volpe. Giunto in prossimità della casa di questa, fece nascondere il cane sotto il recipiente e bussò alla porta della casa della Volpe, alla quale disse d’aver fatto ripensamento e di essere disposta a prendere per sé la paglia. Con la scusa di essere stanca, la Calandra pregò la Volpe di prenderle quel recipiente che essa, per debolezza, non poteva sollevare. Non appena il contenitore fu mosso, il cane uscì da sotto e con un morso strappò il naso alla volpe che, presolo in mano, scappò via, dicendo: - San Parpaglia, non voglio né grano, né paglia! – San Parpaglia, non voglio né grano, né paglia!.

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I DUE LADRI DI GALLINE (I dui ladr d gaddin)

C’erano una volta due poveri che, non avendo di che sfamarsi, rubavano continuamente galline. Accortosi, il padrone si appostò nel pollaio. I due ladri puntualmente si ripresentarono. Non appena il primo mise la mano nel buco per dare il cibo alle galline, ebbe una bastonata su di essa. Per far sì che anche il suo compagno avesse la sua parte, esclamò: -Come è grassa questa gallina!- E fece finta di metterla sotto la giacca. Il secondo, a sentir ciò, subito fece la stessa cosa. Per non farsi prendere per fesso dal compagno, quando ebbe anche lui il colpo di bastone sulla mano, se ne uscì con questa esclamazione: - Questa mia è più grassa di quella tua! -. Da quel giorno, non osarono più recarsi al pollaio.

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IL LUPO E LA VOLPE (‘U Lup e ‘a Volp)

C’era una volta compare Lupo mezzo morto di fame. Un giorno, mentre camminava, trovò comare Volpe e le disse: -Comare Volpe dove vai?-Eh!, rispose comare Volpe, devo andare al fiume a pescare-.

-Beh! Anche se non vuoi, disse il Lupo, portami con te-.-Vieni, rispose la Volpe, tu con u' p’dal ed io con una fascedd un po’ di pesce prenderemo - Così fecero. Il lupo si attaccò al collo un bel p’dal, la Volpe trovò una fascedd ed andarono a pescare. Ma il p’dal si riempì d’acqua tirando giù il Lupo.-Aiutami, aiutami, comare Volpe-, gridava il lupo.

Ma quella uscì dall’acqua e si mise a ridere.

Il Lupo poveretto, stava annegando, ma vide passare un falco e si mise a gridare: -Compare falco, rompi questo p’dal che poi quando mangerò l’agnello ti conserverò le interiora!-. Il falco prese una pietra e la buttò sul p’dal e il lupo mezzo morto uscì dall’acqua. Passò un po’ di tempo ed il lupo, sempre morto di fame, rincontrò la Volpe.

Nel vederla disse: -Brutta Volpe mi portasti a pescare per farmi morire? Ah, ma ora ti uccido!-. –Ooh, non uccidermi, disse la Volpe, così ti mostro un casolare e ti faccio fare una mangiata di ricotta!-.

Il Lupo acconsentì e passo, passo andarono al casolare. Entrarono e si misero a mangiare. Il lupo mangiava e mangiava proprio come un lupo, ma la Volpe, furba, ogni tanto andava a misurarsi al buco dell’uscita. Quando si rese conto che appena appena passava, prese un poco di ricotta e se la mise nelle orecchie.

Uscì, si mise su un pero e incominciò ad urlare:-Ueih il padrone, è andato il lupo nel casolare, ueih padrone è andato il lupo nel casolare!-.

IL padrone, sentendo urlare, corse al casolare e picchiò a lungo il lupo.

Il povero lupo, mezzo morto ma con la pancia piena, se ne stava andando, quando vide la volpe allungata a terra che urlava: -Oih, oih aiutami, aiutami, sto’ per morire-.

-Ti lamenti tu, rispose il Lupo, devo lamentarmi io che ho avuto tante botte!-.

-Si, tu, disse la Volpe, vedi cosa mi hanno fatto, a causa delle botte che ho preso, mi è uscita la ricotta dalle orecchie, oih, oih!-.

-Beh senti, rispose il lupo, andiamocene perché se ritorna il padrone finisce di ammazzarci!-.

-Eh, rispose la Volpe, non ce la faccio se tu non mi porti sulle spalle!-.

Il povero lupo si mise la Volpe sulle spalle e, zoppo e zoppo camminava… e la Volpe cantava: - Undanì, undanà il malato porta il sano!-.

-Comare Volpe, disse il lupo, che stai dicendo?-.

-Eh! Che vuoi che dica, rispose la Volpe, vaneggio per la febbre!-.

Così il Lupo accompagnò la Volpe fino a casa sulle spalle.

Passò del tempo, il Lupo dimenticò le botte ed andò a trovare la Volpe che nel vederlo gli disse di non alzare gli occhi al soffitto perché aveva gli imbianchini.

Il Lupo, una volta tanto, si fece furbo, alzò gli occhi e vide tante sarde appese.

-Ah brutta fetente, disse alla Volpe, avevi gli imbianchini eh?!-.

-Beh o mi dici dove le hai prese o le mangio tutte!-.

-No, no, lasciamele, rispose la Volpe, se proprio le vuoi, fai come me. Io l’altro giorno andai a stendermi in mezzo alla strada. Passò un carretto, il carrettiere, pensando che fossi morta mi prese e mi buttò sul carretto che era pieno di sarde! Io poi, zitta zitta, a una a una, le buttai giù, poi saltai, le raccolsi e mi ritirai a casa-.

Il Lupo, fece anche lui così. Ma questa volta il carrettiere non si fece imbrogliare, prese il fucile e corse dietro al Lupo che poveretto non vedeva la strada che faceva!

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ZIA FORMICA (Zia F’rmecul)

C’era una volta una formica che ogni domenica si recava in chiesa per assistere alla Messa e dopo puliva la chiesa. Una domenica, mentre spazzava trovò un soldo e pensò: -Cosa potrei comprarmi con questo soldo? Se mi comprassi una noce troverei il guscio, se mi comprassi una ciliegia troverei un nocciolo…beh! Mi comprerò una fettuccia per adornarmi i capelli per sposarmi-.

Comprò la fettuccia e si mise alla finestra a pettinarsi, Passò un asino…

-Comare formica che cosa fate?-.

-Mi pettino perché voglio sposarmi!-.

-Mi volete per marito?-.

-Fammi sentire come fai la notte?-.

-Ihoh, ihoh, ihoi, ihoi!-.

-Non ti voglio, non ti voglio, mi spaventi, mi spaventi-.

Passò un maiale…-Comare formica che fate?-.

-Mi pettino perché devo sposarmi-.

-Mi volete per marito?-.

-Fammi sentire come fai la notte?-.

-Ngru, ngru, ngru!-.

-Non ti voglio, non ti voglio, vattene, vattene, mi spaventi-.

Passò un bel gallo e disse…-Comare formica che fate?-.

-Mi pettino perché voglio sposarmi-.

-Mi volete per marito?-.

-Fammi sentire come fai la notte-.

-Chicchirichiii!-.

-Non ti voglio, non ti voglio, ho paura-.

Dopo passò zio topo…-Comare formica cosa fate?-.

-Mi pettino perché voglio sposarmi-.

-Mi volete per marito?-.

-Fammi sentire come fai la notte?-.

-Ziu, ziu, ziu!-.

-Ti voglio, ti voglio, ti voglio-.

Così zia formica e zio topo si sposarono.

La domenica zia formica prima di andare a messa disse a zio topo:-Attento alla pentola cheè sul fuoco, io ritornerò presto-.

Zio topo dopo un po’ andò a vedere cosa c’era nella pentola e cadde dentro!!

Quando la formica tornò a casa non trovò zio topo.

Dopo aver aspettato un bel po’ pensò: -Beh lui non ritorna ed io allora mangio-.

Ma quando versò la minestra nel piatto vide zio topo morto!!!

La povera formica si mise urlare:-Oih topo mio pelato, cotto e steso nella pentola!

Oih topo mio pelato, cotto e steso nella pentola-.

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VUNGOLICCHIO (Vungulicchii)

C’erano una volta una madre ed un padre senza figli. Per averne uno, pregavano ogni giorno la Madonna: -Madonna Santa, facci avere un figlio, anche se piccolo quanto un baccello di fava- La Madonna li esaudì e, dopo non molto tempo, ebbero un figlio piccolo proprio come un baccello di fava.

Divenuto più grande, la mamma un giorno volle mandare Vungolicchio in campagna per portare il cibo al padre. Ma, piccolo com’era non riusciva a stare seduto sull’asino. La madre allora per non farlo cadere lo mise in un orecchio del somaro. Vungolicchio, strada facendo, per far camminare di più l’asilo lo spronava dicendo: -Ah! Ah!…ah!ah!- I passanti sentivano la sua voce, ma non lo vedevano. Un giorno i genitori di Vungolicchio lavoravano nei campi e, per non perdere di vista il bambino che era piccolo piccolo lo misero in un cavolo. Ma una mucca, mangiando mangiando l’erba, mangiò anche il cavolo con dentro Vungolicchio. La madre e il padre allora per riprenderselo, ammazzarono la mucca e aprirono la sua pancia. Guardarono attentamente ma non trovarono il bambino. E allora presero la trippa della mucca e la buttarono via.

Una vecchia, nel passare di lì, la vide, se la prese e l’andò a lavare. Mentre la lavava, sentì dire queste parole: -Strofina, strofina,vecchia arruginita, tu tieni il culo tutto rattoppato! Strofina, strofina, vecchia arruginita, tu tieni il culo tutto rattoppato!-.

E di chi era quella voce? Era la voce di Vungolicchio

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LA REGINA SENZA FIGLI (‘A Rggin senza figghii)

C’era una volta una regina che non aveva figli. Per averli, pregò la Madonna di concederle la grazia d’ averne uno, anche se serpente.

Non avendo il coraggio d’allattarlo, lo fece nutrire da una giovane e bella donna.

Non appena prese il capezzolo in bocca, da sotto le squame del rettile uscì un bel bambino, che disse alla nutrice: -Non mi far mai vedere da mia madre come un essere normale, sennò mi perdi per sempre!-.

Quando divenne adulto, la Regina per sposarlo, com’era costumanza fare per i principi fece bandire affinchè fosse scelto da qualche ragazzo del regno.

Ma, sapendo che era serpente, nessuna donna si presentò alla reggia. Solo la nutrice, conoscendo le sue vere sembianze, si fece avanti per sposarla. Le nozze furono pomposamente celebrate ma la loro unione durò poco.

Un giorno, per distrazione, la donna lasciò aperta la camera da letto in cui la Regina, trovando per caso di lì a passare, notò la presenza di un bel ragazzo. Visto sotto il suo vero aspetto dalla madre, il principe scomparve e non si fece più vedere.